ORAZIO BENEVOLI (Roma, 19-04-1605 – ivi, 17-06-1672)
MISSA IN ANGVSTIA PESTILENTIÆ
a 16 voci e organo Roma 1656
CD pubblicato da Tactus 600201
NOTE DI COPERTINA
La registrazione delle musiche è stata realizzata nel 2016 nella Chiesa di Santa Maria in Portico in Campitelli. L’esecuzione è stata realizzata dalla Cappella Musicale di Santa Maria in Campitelli e l’Ensemble La Cantoria, diretti dal M. Vincenzo Di Betta. E’ stato utilizzato l’organo positivo Pollicolli del 1635.
Nel 1656 a Roma si diffuse una grave epidemia di peste, durante la quale papa Alessandro VII emanò disposizioni per ridurre al minimo i momenti di aggregazione in città, come le celebrazioni liturgiche solenni (che prevedevano la presenza di interventi musicali), poiché favorivano il contagio. A maggio di quell’anno il papa proibì che si suonassero gli organi nelle chiese in segno di lutto, mentre a giugno vietò le processioni e le musiche durante i vespri. Persino le celebrazioni pubbliche del 28 e 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, principali patroni della città, vennero sospese. Saverio Franchi, nel suo saggio La musica a Roma al tempo della peste. Dalla Missa in Angustia Pestilentiae di Orazio Benevoli agli Oratori per la liberazione dal contagio (2005), ipotizza che in quella circostanza, o forse il giorno della Dedicazione della basilica vaticana (18 novembre), i cantori della Cappella Giulia – diretti dallo stesso compositore romano – eseguissero la Missa di Benevoli a San Pietro durante una celebrazione a porte chiuse. L’opera, in ogni caso, si suppone sia stata composta su incarico del Capitolo della basilica per un’occasione particolarmente solenne, con la quale si invocava la misericordia divina affinché cessasse il contagio.
Orazio Benevoli fu uno dei più importanti compositori del barocco romano. Nato a Roma nel 1605, entrò dodicenne tra i pueri cantoresdella Chiesa di San Luigi dei Francesi, dove rimase fino al 1623. L’anno successivo divenne maestro di cappella a Santa Maria in Trastevere e, successivamente, a Santo Spirito in Saxia e a San Luigi dei Francesi. Nel 1644 si recò a Vienna, al servizio dell’Arciduca Leopoldo Guglielmo d’Asburgo. Tornato a Roma, dopo essere stato maestro di cappella a Santa Maria Maggiore, il 7 novembre 1646 divenne direttore della Cappella Giulia in Vaticano, posto che conservò per più di venticinque anni, fino alla morte avvenuta il 17 giugno 1672. Fu sepolto in Santo Spirito in Saxia con una messa solenne cui parteciparono tutti i musici della cappella. Fece anche parte della Congregazione di Santa Cecilia – la più importante accademia musicale romana istituita nel 1585 da papa Sisto V con il nome di Compagnia dei Musici di Roma – della quale fu primo guardiano nella sezione maestri negli anni 1654, 1665 e 1667. Orazio Benevoli era stimatissimo dai contemporanei, in particolare dai musicisti: basti pensare ad alcune cronache del periodo in cui era maestro della Cappella Giulia. Nel Diario della Basilica Vaticana dal 1660 al 1669, alla data del 29 giugno 1663, Giuseppe Balduini riporta ad esempio:
Il secondo vespero si cantò […] a tre Chori di Musica, che l’eccellentissimo Orazio Benevoli Maestro di Cappella fece tutti meravigliare con le sue opere, alle quali si poteva dare meritatamente il titolo di non plus ultra
L’Orvietano Francesco Quadrani, nel suo Giornale Vaticano, il 18 novembre 1671 scrive:
il Sig.r Oratio Benevoli M.ro di Cappella fece cantare una Messa di Musica Superbissima composta nuovamente da lui, che per sentirla vi concorsero i primi virtuosi di tale professione che si trovano a Roma, da’ quali fu intesa con sommo applauso.
Tra i compiti del Maestro della Cappella Giulia vi era ovviamente quello di comporre nuove musiche. Benevoli mise la sua creatività al servizio della basilica, impegnandosi in composizioni a cappella e a più cori e organo, per solennizzare le domeniche e le feste del calendario liturgico.
Produsse una grande quantità di composizioni sacre, prevalentemente messe policorali, a 3-4 voci, ma anche a 6, 8, 9, 10, 12 e 16 voci, con l’organo. Le sue musiche, composte per voci concertanti e voci di ripieno, con sinfonie strumentali, sviluppano al massimo il potenziale polifonico, fino ad arrivare a composizioni per 54 parti reali. Orazio Benevoli predilesse organici monumentali, divisi in numerosi cori, utilizzando sia lo stile «pieno», di carattere più austero, che lo stile concertato, basato sulla contrapposizione tra soli e ripieno. Nel primo caso le linee melodiche procedono con un andamento prevalentemente omofonico, mentre nello stile concertato le voci si muovono con più libertà e maggiori fioriture. Le frasi passano da un coro all’altro, i cori s’innestano tra di loro, soprattutto in prossimità delle cadenze o alla fine delle frasi, oppure cantano omofonicamente come ripieno.
Oltre alle messe, Benevoli compose anche antifone, responsori e altre parti dell’ufficio per il proprio del tempo e dei santi. Qui utilizza organici a voci pari, o comunque diversi dall’usuale Canto, Alto, Tenore, Basso. È difficile dire se venissero usati strumenti, oltre all’organo, ma sembra probabile: dal momento che si parla di sinfonie nei diari del tempo, forse potevano essere utilizzati come raddoppio delle voci o con funzione di ripieno. Il diario di Francesco Quadrani, in riferimento alla cerimonia per la beatificazione di papa Pio V del maggio 1672, riporta infatti:
incominciò la messa solenne […] quale fu cantata da 4.° chori di Musici con sinfonie governati al solito dal Sig.r Orazio Benevoli degnissimo Maestro di Musica Vaticana.
Le composizioni di Orazio Benevoli non furono mai pubblicate durante la vita dell’autore probabilmente per mancanza di risorse economiche. Alla morte del compositore ci fu un contenzioso tra i suoi eredi e il Capitolo di San Pietro, cui il compositore aveva promesso in eredità le sue musiche: i canonici infine le ottennero in seguito all’intervento di un notaio e le musiche rimasero dell’Archivio della Cappella Giulia.
Nel 1656, in ottemperanza alle citate disposizioni papali, le celebrazioni più importanti di tutto l’anno liturgico nella Sacrosanta Basilica Vaticana dovettero avvenire a porte chiuse, solo con i cantori titolari. Come si ricava infatti dallo studio di Giancarlo Rostirolla, Musica e musicisti nella Basilica di San Pietro. Cinque secoli di storia della Cappella Giulia (Edizioni Capitolo Vaticano, 2014), le spese straordinarie sostenute in quell’anno non compresero esborsi per cantori aggiunti, mentre le spese ordinarie furono molto più basse se confrontate con quelle di altri anni, nel periodo compreso tra il 1650 e il 1673.
Nel 1656, oltre al maestro di cappella Benevoli, vennero retribuiti quattro bassi, cinque tenori, cinque contralti e sei soprani, ai quali si aggiungevano probabilmente alcuni cappellani cantori. I soprani erano costituiti in particolare da voci bianche, come si ricava dai minori compensi loro elargiti (cinque scudi mensili, contro i sette delle altre voci). Da quest’organico si può desumere che la messa, a 16 voci e organo, sia stata eseguita a parti reali, probabilmente con il raddoppio di due parti di cantus. Le voci dovevano inoltre essere ben impostate e potenti e sufficientemente autonome da sostenere la propria parte come soliste (si pensi al Christe a otto voci – quattro soprani, tre alti e un tenore – con una scrittura in stile imitativo). Bisogna infine considerare che simili composizioni policorali venivano eseguite nell’immenso spazio del braccio settentrionale della basilica, compreso tra l’altare della confessione e l’altare della cattedra, con i cori a una discreta distanza:
[30 Aprile 1672] si alzarono 4 Cori di Musica nello spazio che è tra l’altare Maggiore e la Navata di S. Michele, e la Madonna della Colonna La Missa in angustia pestilentiae, caratterizzata da uno stile austero e piuttosto uniforme, comprende le parti dell’ordinariumcomposte su un medesimo tema in Fa maggiore. La scrittura è diatonica e procede per linee melodiche contrappuntistiche orizzontali; i soggetti sono tonali, caratterizzati da melodie pure che si rifanno alla tradizione palestriniana. All’inizio di tutte le parti della Messa, i cori entrano in successione, presentando il tema semplice ed elegante. Con ingressi che si susseguono in stile imitativo, le voci continuano la declamazione del testo con un andamento che diventa circolare: rincorrendosi in successione, i cori si avvicinano sempre di più, fino a incontrarsi e sovrapporsi soltanto nelle cadenze.
Nei due Kyrie, le voci s’innalzano luminose a implorare la fine del contagio. Il Christe centrale assume invece un tono più intimo, con una sonorità più chiara e sommessa dovuta alla scelta delle sole voci acute (quattro canti, tre alti e un tenore), e un andamento morbido e arioso, come se la supplica diventasse personale e inespressa. Il Gloria presenta parti in cui il testo viene declamato con chiarezza grazie all’andamento omoritmico delle voci, mentre altre sono in stile imitativo; altre ancora, come il Qui tollis, spiccano in modo particolare grazie allo stile accordale. Il verso finale, In gloria Dei Patris, conclude il brano con una fuga. Il Credo è la parte più ampia, sviluppata e suggestiva di tutta la Messa ed è diviso in tre grandi sezioni: Patrem omnipotentem, Crucifixus, Et in Spiritum Sanctum. I cori si susseguono uno dopo l’altro, con andamento prevalentemente omoritmico. Molto suggestivo, in particolare, l’accordale Et incarnatus estin cui le sedici voci si riuniscono fino alla fine della sezione. Segue il Crucifixus a otto voci acute, dove i cori si ripresentano al completo nella parte finale, piuttosto festosa e con ritmi ternari danzanti. Il Sanctus e l’Agnus Dei sono piuttosto brevi e ripropongono elementi musicali già utilizzati nelle parti precedenti.
La Missa in angustia pestilentiae è giunta sino a noi attraverso manoscritti del Sei e del Settecento: una copia in diciassette parti separate (sedici voci e basso continuo per organo) – forse autografa – è conservata in particolare presso la Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma. La prima edizione moderna a stampa, in chiavi antiche, è stata curata da Lorenzo Feininger nel 1963 e pubblicata a cura della Societas Universalis Sanctae Ceciliae. L’esecuzione proposta nel CD è stata realizzata con una nuova trascrizione in notazione moderna, effettuata dalla scrivente per la prima esecuzione in tempi moderni, avvenuta con il concerto Miracoli e suggestioni barocche tenuto dalla Cappella Musicale di Santa Maria in Campitelli e dall’Ensemble La Cantoria diretti da Vincenzo Di Betta nel giugno del 2015, nell’ambito degli eventi correlati alla mostra Barocco a Roma. La meraviglia delle arti (Fondazione Roma, Museo-Palazzo Cipolla). La trascrizione è in corso di pubblicazione da parte dell’Istituto di Bibliografia Musicale (IBIMUS) di Roma, con il contributo del Ministero di Beni Culturali.
Saverio Franchi sottolinea la scelta di Benevoli di scrivere la messa con tutte le voci in una tessitura piuttosto acuta: infatti utilizza la chiave di violino per il cantus, di mezzosoprano per il contralto, quella di contralto per i tenori e di baritono per i bassi. Così come è scritta, però, la sonorità risulta molto chiara e acuta, e si avverte pertanto la necessità di ricondurre il suono a un ambito più morbido e caldo, tenendo conto del fatto che le voci femminili di soprano che vengono usate in un’esecuzione moderna erano all’epoca realizzate da voci bianche. L’esecuzione diretta da Vincenzo Di Betta si è basata su una trascrizione in tonalità di Re anziché di Fa, cioè una terza minore sotto l’originale. Tale prassi trova riscontro nel più antico manoscritto conservato presso la Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana relativo alla parte dell’organo, dove si legge: “Sonate alla 3.a”; precisazione che non può riferirsi alla terza superiore, perché le voci dovrebbero cantare in una tessitura troppo acuta, ma che indica evidentemente la terza inferiore, come avveniva forse già nel Seicento. In effetti anche la partitura del XVIII secolo, conservata sempre alla Corsiniana, è trascritta in Re.
Paola Ronchetti
Il contesto liturgico-musicale
La monumentale messa polifonica di Benevoli è qui proposta in prima registrazione assoluta nel contesto di una celebrazione solenne officiata nel giorno della Dedicazione della basilica vaticana (18 novembre).
Le antifone del proprium missae – l’introito Terribilis est locus iste, l’offertorio Domine Deus e il communio Domus mea – sono tratte dalla cosiddetta editio medicaea del Graduale romanum (1614). Si tratta di una tra le più importanti – per quanto non ufficiali – edizioni a stampa del repertorio monodico romano, la quale fu il risultato di una complessa opera di rimaneggiamento del repertorio “gregoriano” attuata con il duplice scopo di conformare i testi a quelli del messale tridentino e di adeguare le melodie secondo canoni estetici più moderni (semplificazione dei melismi, riformulazione delle intonazioni e delle cadenze, eccetera). Questa operazione era iniziata nel 1577 coinvolgendo inizialmente nientemeno che Giovanni Pierluigi da Palestrina, con la collaborazione di Annibale Zoilo e altri; fu tuttavia portata a termine molto più tardi, tra il 1611 e il 1614, a cura di Felice Anerio e Francesco Suriano, noti esponenti della scuola polifonica romana.
Oltre ai canti dell’ordinarium e alle antifone del proprium missae, la presente registrazione offre la possibilità di ascoltare anche le principali parti liturgiche intonate dal celebrante, dal diacono e dal suddiacono, con le relative risposte del coro, vale a dire: la colletta, l’epistola, il vangelo, il prefazio, il Pater noster, il Pax Domini e l’Ite missa est. Testi e melodie sono tratti in questo caso dall’editio princeps del Missale romanum promulgato da papa Pio V nel 1570, rimasto in vigore – seppure con alcune aggiunte e adattamenti – fino a pochi decenni fa e tuttora utilizzato nelle celebrazioni in rito antico.
Durante una celebrazione solenne del capitolo di San Pietro non mancava senza dubbio il suono dell’organo, strumento liturgico per eccellenza, il cui ruolo era rigorosamente normato dal Caeremoniale episcoporum del 1600. I brani qui presenti sono il frutto del genio di alcuni tra i più grandi compositori del Seicento, primo tra tutti Girolamo Frescobaldi (Ferrara, 1585 – Roma, 1643), che aveva prestato lungamente servizio come organista proprio nella basilica vaticana – seppur con qualche interruzione – dal 1608 fino alla morte, avvenuta pochi anni prima della nomina di Benevoli a maestro della Cappella Giulia.
Dai Fiori musicali (Venezia 1635), raccolta che riunisce una varietà di pezzi organistici ordinati secondo la loro funzione liturgica, è tratta la Canzon dopo la pistola: si tratta di una composizione dal carattere brioso, suddivisa in tre sezioni, la quale fa da “collegamento” strumentale tra la declamazione cantata dell’epistola e quella del vangelo, sostituendo di fatto il canto del graduale e dell’alleluia. Dalla medesima raccolta del maestro ferrarese è tratto anche il Capriccio sopra la Girolmeta: la vivace composizione, articolata in varie sezioni, è costruita sopra il tema di una canzone popolare (la Girometta) ed è qui utilizzata come brano complementare all’antifona Domine Deus durante il rito di offertorio.
Dopo il sontuoso Sanctus di Benevoli, segue immediatamente l’Intonazione cromatica del iv tono di Tarquinio Merula (Busseto, 1595 – Cremona, 1665), scelta a commento del rito culminante della messa, quando il celebrante pronuncia in segreto le parole del canone e consacra le specie eucaristiche, elevandole subito dopo per esporle all’adorazione dei fedeli (da qui il termine “elevazione”). In quel momento, nessun canto può sovrapporsi alle parole del sacerdote: solamente l’organo, con suono grave e dolce (“graviori et dulciori sono”) – come raccomanda il Caeremoniale episcoporum del 1600 – commenta la pregnanza dell’atto liturgico, sostituendo – in questo caso specifico – anche il canto del Benedictus, assente nella polifonia di Benevoli.
Al termine dell’antifona Domus mea, che introduce alla comunione del celebrante, segue il rigoroso contrappunto del Ricercare xiv di Johann Jakob Froberger (Stoccarda, 1616 – Héricourt, 1667). Il brano ha un carattere perfettamente italiano, come molte delle opere per tastiera del compositore, che aveva affinato la sua arte alla scuola del grande Frescobaldi durante i quattro anni del suo soggiorno romano (1637-1641).
Massimo Bisson
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The liturgical and musical context
Benevoli’s monumental polyphonic mass reproduced here is the first ever recording in the context of a solemn service officiated during the Dedication feast of the Vatican Basilica (18 November).
The antiphons of the proprium missae – the introit Terribilis est locus iste, the offertory Domine Deus and the communion Domus mea – are drawn from the so-called editio medicaea of the Graduale romanum (1614). This is one of the most important – albeit unofficial – printed editions of the Roman chant, which resulted from a complex re-working of the Gregorian repertoire, with the twofold purpose of bringing the texts in line with those of the Tridentine missal and to update the melodies to reflect modern aesthetics (simplification of the melismata, re-arrangement of the intonations and cadences, etc.). This operation had begun in 1577 and involved none other than Giovanni Pierluigi da Palestrina, with the help of Annibale Zoilo and others; it was nevertheless completed much later, between 1611 and 1614, by Felice Anerio and Francesco Suriano, two of the leading lights of the Roman polyphonic school.
In addition to the chants of the ordinarium and the antiphons of the proprium missae, the present recording gives listeners the opportunity to also enjoy the main liturgical parts as sung by the celebrant, the deacon, and the subdeacon, and the responses from the choir, namely the collect, the epistle, the gospel, the preface, the Pater noster, the Pax Domini and the Ite missa est. In this case, the texts and melodies are drawn from the editio princeps of the Missale romanum promulgated by Pope Pius V in 1570, and which remained in force – albeit with some additions and amendments – until a few decades ago, and is still used during traditional Latin masses.
The solemn masses of the Chapter of Saint Peter’s always featured the sounds of the organ, the liturgical instrument par excellence, whose role was rigorously regulated by the Caeremoniale episcoporum of 1600. The tracks on this recording are the work of some of the most brilliant composers of the 17th century, foremost among them Girolamo Frescobaldi (Ferrara, 1585 – Rome, 1643), who had been an organist at Saint Peter’s Basilica for much of the time between 1608 and his death, just a few years before Benevoli was appointed choirmaster of the Cappella Giulia.
Fiori musicali (Venezia 1635), a compilation of various organ pieces selected on the basis of their liturgical function, is the source of Canzon dopo la pistola: this lively composition is divided in three sections, and serves as an instrumental bridge between sung intonation of the epistle and that of the gospel, thus replacing the chanted gradual and alleluia. The same collection by Frescobaldi is also the source of Capriccio sopra la Girolmeta: this vivacious composition, which features a number of sections, is built around a folk song (Girometta) and is used here to complement the antiphon Domine Deus during the offertory.
Benevoli’s sumptuous Sanctus is followed immediately by Intonazione cromatica del iv tono by Tarquinio Merula (Busseto, 1595 – Cremona, 1665), chosen to accompany the culmination of the mass, when the celebrant speaks the words of institution and consecrates the bread and wine for the Eucharist, then raises them for the adoration of the faithful (hence the term “elevation”). At that moment, no chant can overlap with the words of the celebrant: only the organ, with a deep, sweet sound (“graviori et dulciori sono”) – as recommended by the Caeremoniale episcoporum of 1600 – can accompany the sacrality of the liturgical act, replacing, in this specific case, the chant of the Benedictus, which is absent from Benevoli’s polyphony.
The antiphon Domus mea, which introduces the communion, is followed by a rigorous counterpoint in the form of Ricercare xiv by Johann Jakob Froberger (Stuttgart, 1616 – Héricourt, 1667). The piece is quintessentially Italian in character, as were many of the keyboard pieces written by the composer, who had honed his craft under the great Frescobaldi during his four-year sojourn in Rome (1637-1641).
Massimo Bisson
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English
ORAZIO BENEVOLI (Rome, 19-04-1605 – Rome, 17-06-1672)
MISSA “IN ANGVSTIA PESTILENTIÆ”
For 16 voices and organ
Rome 1656
In 1656, Rome was struck by a serious plague epidemic. In response, Pope Alexander VII issued dispositions to reduce to a minimum occasions for crowds to assemble – such as solemn liturgical services, which were accompanied by musical performances – as they increased the risk of contagion. In May of that year, the Pope banned churches from playing organs, which they would do as a sign of mourning, and in June he banned all musical performances and processions during the Vespers. Even the public celebrations of June 28 and 29 marking the Feast of Saints Peter and Paul, Rome’s patron saints, were suspended. In his essay La musica a Roma al tempo della peste. Dalla Missa in Angustia Pestilentiae di Orazio Benevoli agli Oratori per la liberazione dal contagio (2005), Saverio Franchi speculates that on that occasion, or perhaps during the Dedication of the Vatican basilica on November 18, the singers of the Cappella Giulia, under the direction of Orazio Benevoli himself, performed Benevoli’s Missa at Saint Peter’s Basilica during a closed-door service. In any event, the piece itself is thought to have been commissioned by the Vatican Chapter for a particularly solemn occasion, during which divine mercy was invoked to put an end to the plague.
Orazio Benevoli was one of the most important Roman Baroque composers. Born in Rome in 1605, as a twelve-year-old he joined the pueri cantores choirboys of the Church of San Luigi dei Francesi, where he remained until 1623. The following year, he assumed the post of maestro di cappella at Santa Maria in Trastevere; then at Santo Spirito in Saxia and later on at San Luigi dei Francesi. In 1644 he moved to Vienna to serve at the court of Archduke Leopold Wilhelm of Hapsburg. Upon his return to Rome, he briefly served as maestro di cappella at Santa Maria Maggiore before becoming the choirmaster of the Cappella Giulia at the Vatican on November 7, 1646, where he remained for over 25 years until his death on June 17, 1672. He was buried at the Church of Santo Spirito in Saxia during a solemn mass, with all of the Cappella Giulia’s musicians in attendance. He also belonged to the Congregation of Santa Cecilia, of which he was the guardian for the maestri section in the years 1654, 1665, and 1667. Founded in 1585 by Pope Sixtus V with the name Compagnia dei Musici di Roma, Santa Cecilia is the most important music academy in Rome. Orazio Benevoli was highly esteemed by his peers, especially musicians: one need only read some of the accounts of his time as the choirmaster of the Cappella Giulia. In the June 29, 1663 entry of his Diario della Basilica Vaticana dal 1660 al 1669, Giuseppe Balduini wrote the following:
Il secondo vespero si cantò […] a tre Chori di Musica, che l’eccellentissimo Orazio Benevoli Maestro di Cappella fece tutti meravigliare con le sue opere, alle quali si poteva dare meritatamente il titolo di non plus ultra
On November 18, 1671 Francesco Quadrani of Orvieto wrote the following in his Giornale Vaticano:
il Sig.r Oratio Benevoli M.ro di Cappella fece cantare una Messa di Musica Superbissima composta nuovamente da lui, che per sentirla vi concorsero i primi virtuosi di tale professione che si trovano a Roma, da’ quali fu intesa con sommo applauso.
Naturally, one of the tasks of the Cappella Giulia’s choirmaster was to compose new music. Benevoli put his creativity in the service of the basilica, creating a cappella, choir, and organ compositions for Sunday masses and religious holidays.
He wrote a great many sacred compositions. Most were polychoral masses for 3-4 voices, but they also included works for 6, 8, 9, 10, 12 and 16 voices, with organs. His works, which were composed for soloists, choir, and orchestra, developed their polyphonic potential to the fullest, with compositions of up to 54 real parts. Orazio Benevoli preferred monumental vocal ensembles, with numerous choirs. He used both the austere pieno style and the concertato style, based on the interplay between soloists and the choir. In the former, melodies are prevalently homophonous, while in the concertato style the vocal parts have more freedom and more flourishes. Phrases bounce from one choir to the other, and the choirs themselves overlap, especially in the proximity of cadences or at the end of phrases, or they sing homophonically as a ripieno.
In addition to masses, Benevoli also composed antiphons, responsories and other parts for the office of the Breviary and of the saints. In these cases, he preferred ensembles consisting entirely of equal voices (‘a voci pari’), or in any event different from the traditional soprano, alto, tenor, and bass. It is difficult to be sure whether any other instruments besides the organ were used, but this seems likely: since accounts from that era mention symphonies, these may have been used to double the voices or to serve as a ripieno. With regards to the beatification ceremony for Pope Pius V in May 1672, Francesco Quadrani wrote the following in his diary:
incominciò la messa solenne […] quale fu cantata da 4.° chori di Musici con sinfonie governati al solito dal Sig.r Orazio Benevoli degnissimo Maestro di Musica Vaticana.
Orazio Benevoli’s compositions were never published during his lifetime, probably due to a lack of funds. Upon his death, litigation ensued between his heirs and the Chapter of Saint Peter’s. Benevoli had promised the latter that it would inherit his music; after a notary intervened, the Chapter won the dispute and the music remained in the Archives of the Cappella Giulia.
In 1656, to comply with the above-mentioned papal dispositions, the most important masses of the entire liturgical year in Saint Peter’s Basilica took place behind closed doors, and only with the regular choir. As shown in Giancarlo Rostirolla’s study Musica e musicisti nella Basilica di San Pietro. Cinque secoli di storia della Cappella Giulia (Edizioni Capitolo Vaticano, 2014), the extraordinary expenses sustained that year did not include any funds for additional singers, while ordinary expenses were much lower than in other years between 1650 and 1673.
In 1656, in addition to the choirmaster Benevoli, the payroll included four bass voices, five tenors, five contraltos, and six sopranos, most likely in addition to several chaplains who were also part of the choir. In particular, the sopranos were boy sopranos, as evidenced by their lower pay (five scudos a month, versus seven for the others). This ensemble suggests that the mass, for 16 voices and an organ, was performed in real parts, probably with the doubling of two of the cantus parts. The voices had to be operatic and powerful, and sufficiently autonomous to perform their own parts as soloists (one need only think of the Christe for eight voices – four sopranos, three altos, and a tenor – written in an imitative style). Finally, one should remember that such polychoral compositions were performed in the huge northern arm of the Basilica, located between the altar of the confession and the altar of the chair, with the choirs a fair distance away:
[30 Aprile 1672] si alzarono 4 Cori di Musica nello spazio che è tra l’altare Maggiore e la Navata di S. Michele, e la Madonna della Colonna
The Missa in angustia pestilentiae, with its austere and rather uniform style, includes the part of the ordinarium composed on the same theme in F major. The writing is diatonic and the melodic lines are contrapuntal and horizontal; the subjects are tonal, with pure melodies that reflect the Palestrina style. At the beginning of every one of the Mass’s parts, the choirs come in one after the other, introducing the simple and elegant theme. As the choirs come in with an imitative style, the voices continue to intone the text in an andamento that becomes circular: as the choirs chase one another, they get ever closer, and eventually overlap in the cadences only.
In the two Kyrie, the luminous voices rise to implore the end of the plague. The central Christe strikes a more intimate tone, with voicing that is both clearer and more subdued due to the choice of only high voices (four cantos, three altos, and one tenor) and a soft, breezy andamento, as if the supplication were becoming more personal and unexpressed. The Gloria features parts in which the texts are intoned clearly thanks to the homorhythmic voices, while others are in an imitative style; others still, such as the Qui tollis, stand out because of their chord style. The final verse, In gloria Dei Patris, concludes the piece with a fugue. The Credo is the longest, best developed, and most evocative part of the entire Mass and is divided into three main sections: Patrem omnipotentem, Crucifixus, Et in Spiritum Sanctum. The choirs come in succession, and are prevalently homorhythmic. The chord sequence of Et incarnatus est is particularly evocative, with the sixteen voices singing as one until the end of the section. It is followed by the Crucifixus for eight high voices, where the choirs are back at full strength in the final part, which is rather joyous and with dancing ternary rhythms. The Sanctusand the Agnus Dei are rather brief, and feature musical elements used already in the previous parts.
The Missa in angustia pestilentiae is documented in manuscripts from the 17th and 18th centuries: a copy in seventeen separate parts (sixteen voices and basso continuo for organ) – perhaps autographed – is held in the Library of the Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana in Rome. The first modern printed edition, with original clefs, was edited by Lorenzo Feininger in 1963 and published by the Societas Universalis Sanctae Ceciliae. The version on the CD was recorded using a new, modern transcription by the author for the first modern performance that took place during the Miracoli e suggestioni barocche concert held by the Cappella Musicale di Santa Maria in Campitelli and the Ensemble La Cantoria directed by Vincenzo Di Betta in June 2015, as one of the events associated with the exhibition Barocco a Roma. La meraviglia delle arti (Fondazione Roma, Museo-Palazzo Cipolla). The transcription, edited by this writer, was published in 2017 by the Istituto di Bibliografia Musicale (IBIMUS), Rome, with a contribution from the Ministry of Cultural Heritage.
Saverio Franchi underlines Benevoli’s decision to write the mass with all voices in a rather high tessitura: indeed, he uses the treble clef for the cantus, the mezzosoprano clef for the contralto, the contralto clef for tenors, and the baritone clef for bass. As written, however, the voices are quite clear and high-pitched, thus making it necessary to soften the sound and to make it warmer, especially in light of the fact that the female soprano voices used in modern performances were replaced by boy sopranos in Benevoli’s day. The performance directed by Vincenzo Di Betta was based on a transcription in D instead of in F, and thus a minor third lower than the original. This approach is backed up the oldest manuscript held in the Library of the Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana with regards to organ parts. It reads: “Sonate alla 3.a”; this cannot refer to the superior third, because the voices would have to sing in an excessively high tessitura, but evidently indicates the inferior third, as may have been the case as early as the 17th century. Indeed, the 18th century music sheet, also held at the Corsiniana, is transcribed in D.
Paola Ronchetti